Il DNA dei gatti è lo stesso di 9mila anni fa: sono sempre stati solitari
Oggi i gatti, insieme ai cani, sono gli animali domestici che maggiormente occupano le case di tutto il mondo. Ma da dove arrivano questi felini? E come hanno fatto a conquistare praticamente tutti? La maggior parte di ciò che sappiamo viene dall’Antico Egitto, in particolare dalle iconografie dell’epoca Faraonica in cui i gatti erano diventati sacri, una personificazione delle dee Bastet e, più tardi, Iside. Questa personificazione non era inusuale, dato che gran parte degli animali nell’Antico Egitto possedevano un lato divino. I tempi e le origini dell’addomesticamento, però, non sono mai stati chiari. Uno studio pubblicato su Nature Ecology&Evolution ha cercato di fare ulteriormente luce sull’argomento.
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Lo studio
È raro trovare i gatti in contesti archeologici e, proprio il ritrovamento di un gatto in una tomba di un bambino risalente all’era del Neolitico a Cipro, dove non erano stati trovati resti di gatti prima dell’arrivo dei primi agricoltori, fa pensare che i gatti fossero stati portati proprio da questi ultimi sull’isola e che probabilmente li avessero addomesticati. D’altronde, non è possibile raggiungere Cipro tramite la terraferma, trattandosi di un’isola; l’unico modo per riuscirci è a nuoto, ma non è pensabile che i gatti potessero aver intrapreso un viaggio del genere a nuoto. Questo suggerisce che tra gatti ed umani ci potrebbe essere una lunga relazione, di almeno 10.000 anni, ma ciò resta ancora un mistero.
Sappiamo solo che i gatti fossero una risorsa importante nelle prime società per tenere sotto controllo le infestazioni di ratti, serpenti e scorpioni velenosi. Sappiamo anche che tutti i gatti moderni condividono il patrimonio genetico mitocondriale con i gatti selvatici del Nord Africa e del Levante.
Il DNA dei gatti selvatici
Lo studio in questione ha messo in evidenza poi il percorso che hanno fatto gli antichi gatti egiziani fino all’era moderna, in cui sono divenuti molto “popolari”. Spesso sono stati al centro di rotte commerciali e incursioni, che hanno rappresentato per loro “autostrade di dispersione”.
Ma la loro evoluzione non li ha allontanati troppo dai gatti selvatici, con cui condividono il lignaggio del DNA mitocondriale e altre caratteristiche. In un primo momento il gatto domestico teneva lontani i topi dai raccolti, per cui più che un accompagnatore degli umani era un commensale. Ciò che dava, in un certo senso, prendeva. Solo successivamente ha deciso di avvicinarsi maggiormente all’uomo, pur mantenendo sempre una certa distanza.
Distanza “naturale”
I gatti moderni, infatti, mantengono alcune caratteristiche cerebrali e comportamentali dei gatti selvatici. Come quella dell’essere predatori solitari.
È anche per questo che, a volte, quando si prova a prenderli in braccio o ad accarezzarli, si crea un conflitto con la loro natura, e quindi provano fastidio. È sempre meglio procedere per gradi e valutare tutte le loro reazioni alle effusioni umane.
Quindi, come approcciare?
Generalmente si può migliorare la situazione quando si agisce tra le due e le sette settimane di vita dei gattini, che così si abituano subito allo scambio anche fisico con l’uomo. Altrimenti, l’ideale è aspettare che vengano loro a strofinarsi, controllando sempre il loro stato di benessere, ricordando questi facili segnali: la coda alzata e poi mossa delicatamente da lato a lato, le fusa, la “pasta” con le zampe anteriori, le orecchie tese e spostate verso l’avanti.
Al contrario, se il gatto allontana la testa, non fa le fusa, si lecca il naso e incurva la schiena, significa che è infastidito dal modo di fare umano, per cui è meglio allontanarsi. In generale, comunque, abbiamo imparato che pur “convivendo” ormai da migliaia di anni, è importante che uomo e gatto misurino ogni giorno il proprio rapporto per vivere sempre più in armonia e gioia.