Non è difficile cogliere traccia del gatto nelle nostre tradizioni popolari, nel nostro folklore e in generale nelle culture più vicine alla nostra, sia geograficamente sia per quel che riguarda i tratti caratterizzanti. Che dire, invece, delle civiltà che meno, nel corso della storia hanno interagito con l’Europa? Forse non è conoscenza comune, ma il gatto nella mitologia indiana è ben presente. Non a caso, oltre che nella fiaba Il giudizio di Curd-Ear, compare in due tra i più importanti poemi epici indiani.
La prima storia è contenuta nel Mahabharata, e ha come protagonisti il topo Palita e il gatto Lomasa.
Palita e Lomasa vivono in una foresta, abitata tanto da altri animali quanto dal cacciatore di casta Chandala, noto per la sua abitudine di piazzare trappole a rete per catturare gli animali. Una notte, a finire in trappola è il gatto Lomasa. Il topo Palita, inizialmente, tratta con indifferenza il prigioniero… fino a quando non nota la presenza di una mangusta, Harita, e di un gufo, Chandraka, che altro non aspettano che piombare su di lui per mangiarlo. Così Palita conclude col gatto un accordo: se lo accoglierà nella trappola senza mangiarlo lui sarà al sicuro dai due predatori affamati, e più tardi potrà rosicchiare le corde della rete e salvare il gatto dal cacciatore. La collaborazione viene stipulata e funziona. La mangusta e il gufo rinunciano all’impresa, e il topo Palita, alle prime luci dell’alba, libera il gatto Lomasa; in tempo per permettergli la fuga, ma all’ultimo, perché il gatto sia troppo impegnato a fuggire per pensare di aggredire e mangiare il topo.
Ciò che rende la storia interessante è però il seguito, quasi filosofico. Lomasa, alla conclusione degli eventi, si presenta da Palita e gli propone di iniziare un’amicizia vera, un rapporto ben diverso da quello che hanno vissuto durante quella notte. Palita rifiuta, evidenziando le differenze tra gatto e topo, predatore e preda, forte e debole e spiegando come impedirebbero loro di andare oltre un rapporto di convenienza.
Il gatto nella mitologia indiana ha un posto anche nel poema epico noto come Ramayana.
Il dio Indra, invaghitosi della donna mortale Ahalya, decide di sedurla; ma, essendo la donna sposata, l’impresa presenta più di una difficoltà. Indra escogita allora una soluzione molto, molto semplice: averla con l’inganno, presentandosi con le fattezze del suo legittimo marito. Lo stratagemma funziona, ma è proprio il vero marito di Ahalya a coglierli sul fatto. E così Indra, per sfuggire alle ire dell’uomo infuriato, si trasforma in un gatto.
Non è forse, questa scelta del dio, una lode alla sveltezza di movimenti e all’agilità dei nostri felini?