Il legame tra gatti e divinità in Egitto e in alcune parti dell’Europa
La connessione più lampante tra il gatto e il divino, inteso come l’insieme delle credenze celesti appartenenti alle più varie culture, è sicuramente quella che si cementò nell’Antico Egitto. Non si tratta però dell’unico esempio che si potrebbe fare, e anzi, c’è persino una razza particolarmente legata al divino, ovvero il Siamese. Il legame tra gatti e divinità è, in una parola, più che ben coltivato nelle molteplici mitologie.
In Egitto, la patria in cui il gatto è stato eretto a divinità, erano considerati realmente magici gli occhi del nostro felino preferito. Perché? È presto detto. Il modo in cui la luce pare venire catturata, da quello che oggi sappiamo essere il tapetum lucidum, ha convinto gli antichi egiziani che nello sguardo dei felini il sole, personificato dal dio Ra, venisse catturato e tenuto in salvo fino alla successiva alba. Non solo: la “emme” che fa mostra di sé sulla fronte di alcuni gatti era considerata il sacro segno dello Scarabeo, simbolo di eterna rinascita.
In quanto custodi del Sole e dello Scarabeo, i gatti godevano di protezione assoluta. Tanto che, narra la leggenda, quando i Persiani attaccarono il paese legarono dei gatti ai loro scudi; e gli Egiziani, non osando rischiare di ferire un animale per loro sacro, rinunciarono a contrattaccare.
La sola eccezione in cui era ammesso far del male ai gatti erano gli occasionali sacrifici rituali.
A nord dell’Egitto, e nello specifico, in alcune aree dell’Europa, in tempi antichi e in particolare precedenti alla diffusione del Cristianesimo, era considerato importante il benestare delle divinità per ottenere un raccolto florido.
E così, era d’uso adornare un gatto con un certo numero di fiocchi e inviarlo a passeggiare per i campi dopo il raccolto annuale, perché il prossimo fosse altrettanto buono, o persino migliore.
Questi sono solo alcuni dei modi in cui il legame tra gatti e divinità si esprimeva nel passato.