La gatta di Francesco Petrarca, immortalata in poesia

I felini sono muse classiche, si sa, per gli artisti della penna e delle parole. Il poeta Francesco Petrarca ha tratto molta della sua ispirazione da Laura, la donna tanto amata, eppure accanto a sé ha avuto, per anni, proprio una gatta. A omaggiare la gatta di Francesco Petrarca ci ha pensato, secoli dopo la sua morte, il poeta Antonio Querenghi. E non solo lui.

Fonte: www.placidasignora.com

Della celebre micia parla anche il Tassoni ne “La Secchia rapita”, per la precisione nel canto VIII.

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…e ‘l bel colle d’Arquà poco in disparte,
che quinci il monte e quindi il pian vagheggia;
dove giace colui, ne le cui carte
l’alma fronda del sol lieta verdeggia,
e dove la sua gatta in secca spoglia
guarda da i topi ancor la dotta soglia
.

Forse non è un caso se, nella nicchia al pian terreno della casa di Arquà Petrarca, nota come la “Casa del Petrarca”, si può ammirare, ben racchiusa in una teca, una gatta imbalsamata. Che sia davvero la gatta di Francesco Petrarca, la stessa ritratta assieme al poeta e celebrata dal Tassoni?

La gatta di Francesco Petrarca

Fonte: www.agoravox.it

Quel che è certo è che Antonio Querenghi le ha dedicato un’ode, che oggi funge da epitaffio all’ospite felina di Arquà Petrarca. Le rime erano originariamente redatte in latino; oggi, per fortuna, è disponibile una traduzione in italiano.

Il poeta toscano arse di un duplice amore:
io ero la sua fiamma maggiore, Laura la seconda.
Perché ridi? Se lei la grazia della divina bellezza,
me di tanto amante rese degna la fedeltà;
se lei alle sacre carte diede i ritmi e l’ispirazione,
io le difesi dai topi scellerati.
Quand’ero in vita tenevo lontani i topi dalla sacra soglia,
perché non distruggessero gli scritti del mio padrone.
E ora pur da morta li faccio tremare ancora di paura:
nel mio petto esanime è sempre viva la fedeltà di un tempo.

Pare, stando a una testimonianza ritrovata in rete, che la gatta di Francesco Petrarca sia realmente esistita. Ne parlerebbe il Petrarca stesso in una lettera inviata a Giovanni Boccaccio, risalente a una settimana prima della sua morte.

Il testo è un po’ lungo, ma vale la pena di leggerlo.

Laura, l’amore della mia vita, della cui bellezza non hai mai potuto godere, e che la peste mi ha portato via già da un’eternità ad Avignone, ancora adesso dopo molto tempo dalla sua morte è la regina incontrastata del mio cuore. Eppure un giorno, ormai quasi due estati fa, una gatta è entrata a far parte della mia vita insidiandone il primato. Da allora, questi due esseri si contendono lo scettro del mio cuore combattendo una lunga lotta travagliata, che ancora non ha un vincitore, sul campo di battaglia dei miei pensieri e sentimenti. La gatta ha macchie di tre colori diversi, come pochi in questa zona, zampe lunghe e un carattere dolce. Il suo mantello è morbido come la più raffinata delle sete, ma sono gli occhi quel che la rende speciale. E che la contraddistingue da tutte le altre creature della sua specie. Il suo occhio sinistro è verde brillante come un lago di montagna, l’altro è del misterioso colore dell’ambra luccicante. È entrata nella mia casa e nel mio cuore un bel giorno d’estate mentre stavo completando la mia raccolta di vite “De viris illustribus”.

Il Petrarca descrive poi nel dettaglio il loro primo incontro.

La gatta è spuntata d’un tratto davanti al mio scrittoio, non so come possa essere entrata in casa. I suoi occhi di colore diverso mi scrutavano e, quando ha capito che non ero un pericolo per lei, si è avvicinata, strusciandosi e annusando qua e là una gamba della sedia, una porta di armadio o una pila di libri tastando cautamente con la zampa, e dopo aver perlustrato il mio scrittoio se ne è impadronita. Alla fine si è sdraiata in un punto illuminato dal sole, ha allungato le zampe e ha aperto le fauci per emettere un prolungato miagolio stridente che è terminato in un sospiro talmente soddisfatto che io, disarmato e vinto dai suoi modi educati, sono andato alla porta, ho chiamato il servitore con voce sommessa e gli ho ordinato di portarmi subito del latte e formaggio. La gatta ha mangiato tutto facendo intense fusa rumorose e, dopo che io le ho accarezzato un po’ il suo mantello di seta e le ho fatto dei grattini alla testa, è saltata su un cuscino e vi si è acciambellata. Da allora mi delizia della sua presenza, mi segue spesso durante le mie passeggiate in giardino e, quando scrivo o detto, mi guarda ammirata con i suoi occhi impenetrabili, eppure comprensiva come un essere estraneo che attende paziente a un compito che gli appare senza senso.

La gatta di Francesco Petrarca, pare, ha un caratterino tutto suo. E ama la libertà.

Sembra che la gatta non sia nata per lavorare. Dopo essersi riposata e lavata, e dopo aver mangiato esce in giardino per godere della natura in mezzo al prato e tra i cespugli a caccia di raggi del sole, farfalle, topi. Ma quello che fa non diventa mai un lavoro. Fa quello che le piace fare e si muove con una grazia che non ha eguali in natura. Talvolta i suoi movimenti sono talmente lenti che cessano di essere movimenti.

La gatta non sa cosa sia la diplomazia o la repressione, ma sa bene cosa sia la libertà che per lei sta sopra ogni cosa. La mia gatta a tre colori combatte ogni giorno con gli artigli e con i denti per la sua libertà, se gatti estranei si azzardano a entrare nel mio giardino o persino nella mia casa. Le mie proprietà sono ormai diventate il suo regno in cui nessun altro gatto è ammesso. Proprio come il nostro buon Dio geloso, all’infuori del quale non dobbiamo avere altro dio. Talvolta sono tentato di pensare che se Dio è potuto essere un uomo, avrebbe potuto essere benissimo anche un gatto, tanto perfetto è questo animale. Ma non oserei mai pronunciare questo pensiero e, Ti prego, serbalo anche Tu nel tuo cuore.

Grazie al Petrarca, impariamo anche come il gatto nell’epoca romana sia stato elevato a simbolo, appunto, di libertà.

La gatta tiene molto alla sua libertà personale, e ti adula solo se le va. Quando la chiamo viene solo se ne ha voglia. Non conosco altri animali tanto liberi e indipendenti. Ti ricordi? Sul colle Aventino c’è il tempio della Libertà che il console romano Tiberio Sempronio Gracco ha fatto erigere prima che nascessero i nostri signori. Al suo interno si può ammirare l’allegoria della libertà raffigurata come una donna con ai piedi un giogo e una catena rotta, e a fianco un gatto con la coda davanti alla zampa anteriore. Il gatto era simbolo di libertà già nella Roma pagana. Allora, quando vivevo a Roma non ci avevo mai fatto caso. Ma ora che questo ricordo mi è venuto di nuovo in mente mi ha profondamente illuminato.

Amante della cultura come lui, pare che davvero difendesse gli scritti del poeta.

Ma la qualità che più apprezzo della gatta è il modo in cui difende i miei libri e scritti contro gli attacchi insolenti dei roditori. Lei è l’efficace scudo protettivo della mia biblioteca.

Non solo. Tutto sta a dimostrare che la gatta imbalsamata sia proprio lei.

Per questo quando morirà sarà imbalsamata, e la sua memoria onorata per sempre grazie a un loculo sulla porta della mia biblioteca. Ti farebbe piacere comporre un epigramma per l’epitaffio? Te lo chiedo come mio ultimo desiderio, io non sono nella condizione di farlo. La amo troppo e non potrei celebrare la sua morte prima del tempo.

Foto di EleC86. Fonte: www.tripadvisor.it

Forse, in qualche modo misterioso, non è un caso che questo micio, di nome Baffo, nel 2014 sia stato il custode di Arquà Petrarca. Proprio come la gatta di Francesco Petrarca, gioia per gli occhi del suo umano e protettrice delle sue opere.

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