I gatti nel Medioevo: non solo odio!
Gatti e Medioevo: un’accoppiata, si sa, non proprio felice. L’argomento è già stato trattato in parte in questo articolo, dedicato alle “crazy cat lady” e che menziona come ai tempi una donna che convivesse con un gatto fosse facilmente identificata come strega. Ma il Medioevo non è stato soltanto un’epoca di torture e tormento per i nostri felini preferiti. E di questo, vi forniamo alcuni esempi.
Eleonora Plantageneto, Contessa di Leicester, quinta (e ultima) figlia di Giovanni Senza Terra e di Isabella d’Angoulême, comprò un gatto nel 1265. È possibile che lo avesse comprato per un problema di eccessiva proliferazione di topi, ma è cosa conosciuta che la Contessa fosse nota come un’amante degli animali.
La Cattedrale di Exeter, situata nell’omonima città inglese, ospita tra le altre cose una delle prime gattaiole della storia. E non a caso, in quanto un gatto era ospite dell’edificio, incaricato di occuparsi dei topi. Non solo, pare che “ricevesse” una paga di un penny a settimana, il che significa che non veniva nutrito soltanto con i frutti della sua caccia.
Anche The boke of nurture, un manuale inglese sul galateo a tavola, menziona i gatti: l’autore si premura di raccomandare a chi ospitasse parenti, amici o conoscenti a cena o pranzo che fosse di tenere lontani cani e gatti dalla tavola imbandita. Il fatto che un fenomeno come questo fosse citato implica che non fosse insolito per i gatti trattenersi vicino ai “padroni” durante i pasti, e che forse già allora più di qualcuno allungasse loro leccornie sotto il tavolo.
Eppure, le prove più clamorose arrivano proprio dalla stessa Chiesa che finì poi per denunciarli come compagni del demonio.
Stando all’Ancrene wisse, un manuale per donne che scegliessero la vita dell’eremita, una figura spesso di stampo spirituale o religioso, l’unico compagno adatto è un gatto.
L’amore di alcuni religiosi per i gatti è stato tradotto anche in poesia.
Io e il mio gatto Pangur Bán
abbiamo lo stesso compito:
lui a caccia di topi lieto corre
io a caccia di parole sto seduto
notte e giorno.
È molto meglio di ogni
onore ricevuto
con libro e penna starmene seduto;
Pangur certo è pigro,
e mette in pratica la sua semplice arte.
È piacevole vedere
la gioia che ci procurano i nostri lavori
quando insieme siamo seduti nella stanza
e proviamo a dilettare il nostro spirito.
Un topo smarrendosi finisce spesso
tra i piedi dell’eroico Pangur Bán;
spesso il mio pensier si tende,
ed un significato nella sua rete prende.
Il gatto posa gli occhi sul il muro,
grande e grosso e scaltro e sicuro;
sul muro del sapere metterò
a dura prova quel poco che so.
Quando un topo esce dal sua nascondiglio,
Pangur Bán è colmo di gioia;
e io sono pieno di gaudio
quando risolvo questioni complicate!
Serenamente ci dilettiamo con il nostro lavoro
e io il mio gatto Pangur Bán:
nella nostra arte troviamo la felicità
io la mia, lui la sua.
L’allenamento costante ha trasformato
Pangur Bán in un perfetto gatto;
notte e giorno sapienza io apprendo
in luce l’oscurità volgendo.
Questa poesia è stata attribuita a un monaco irlandese del nono secolo, stanziato presso l’Abbazia di Reichenau. È stata trovata scribacchiata sul margine di un manoscritto.
Ecco quindi che il Medioevo è, forse, stato meno crudele di quanto sembri con i gatti. È un argomento che meriterebbe una ricerca più approfondita di questa, ricerca che leggeremmo volentieri: se qualcuno tra i lettori ne sapesse di più, si senta libero, o libera, di condividere le informazioni!